DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Rientrano sotto a questo cappello una classe di comportamenti che indicano un rapporto problematico con il cibo e con il corpo.

La comunità scientifica ha riconosciuto “l’errore” di avere classificato questi fenomeni relegandoli in confini netti : il tipo restrittivo o ex anoressia nervosa, il tipo da abbuffate o ex bulimia nervosa, il binge eating disorder, il disturbo non altrimenti classificato, etc .

Questa revisione è avvenuta in virtù della proliferazione di forme miste, che vedono alternarsi o sovrapporsi fasi e forme del disturbo alimentare. Lo stesso vale per tutte le altre forme (vomito compulsivo, abbuffate soggettive o oggettive, iperfagia notturna) : si tratta di “meticciamenti” derivanti dall’incrocio di queste varietà nel comportamento alimentare.

Il grande nodo critico nel percorso terapeutico sta nella difficoltà a stabilire alleanza a riguardo degli obiettivi da raggiungere. Anche nei casi in cui la scelta di “curarsi” sia autonoma e ci sia pieno riconoscimento del problema, pare che i conti con il risvolto pratico della cura non siano facili.

In altri termini, la persona che chiede la terapia desidera uscire dal tunnel e, allo stesso tempo, non  è pronta per lasciarlo. E così la concretezza del cambiamento, che non può prescindere da una fase dedicata a cosa sia una nutrizione corretta, è un argomento procrastinato o tabù.

Cosa può spiegare questo intricato garbuglio?

Le persone che soffrono di un problema, grave o meno grave, con il corpo e con il cibo hanno intaccata la cosiddetta area del piacere e dell’amore personale. Per svariate ragioni hanno stabilito, con più o meno forza, che il piacere, ad esempio quello provato gustando piatti conditi e complessi è …. peccaminoso. Come valeva per gli ipermoralismi provenienti dai vecchi dettami religiosi, sono visti come comportamenti deplorevoli da bandire. Da questo punto di osservazione tutti meccanismi assumono un altro significato: avere un corpo magro significa essere brave, morigerate, attente, precise e garantisce i requisiti minimi per essere guardabili;  rifugiarsi nel cibo senza limiti, consumandolo in assoluta solitudine, è una vera oasi nel deserto cui si potrà porre rimedio con un altro comportamento, il vomito, che implica prova di forza, determinazione, tenacia; mangiare  nel segreto della notte è la scappatella che diviene troppo audace per essere di una volta soltanto e che occupa tutte le notti; liberarsi dal senso di colpa sarà possibile attraverso una semplice decisione di vomitare il cibo in eccesso, il che premierà anche l’autostima perché si paga un prezzo salato. Tutti questi “stratagemmi” appartengono irrimediabilmente al “disturbo del comportamento alimentare”.

Spesso vi è mancanza di alleanza tra persona e famiglia. Sono i familiari – nel caso di figli adolescenti o comunque conviventi in casa – a denunciare questo comportamento . E’ frequente che le richieste dei familiari esplodano in fasi avanzate di gravità e finiscano all’ospedale, dove avvengono cure imposte al corpo e parecchi dissesti lungo la relazione tra “cura del corpo” e “cura della persona”. Salvo ove sia davvero impossibile o controindicato, nella terapia sono coinvolti in momenti programmati i familiari.

Le relazioni delle persone che hanno una problematica con il cibo e con il corpo sono piuttosto coartate, hanno cioè una vita emotiva trattenuta, che rimane “dentro”.
La vita sessuale è del tutto o prevalentemente  insoddisfacente perchè la dimensione del piacere (sessuale, che ha le stesse regole dell’alimentare) è da sorvegliare come vissuto pericoloso, nocivo, immorale oppure è un banco di prova del proprio valore attrattivo e personale, dunque è vissuto come un esame.

Il lavoro psicoterapeutico è una via fondamentale per riappacificarsi col proprio corpo e con la necessità di nutrirlo, con gli schemi rigidi e prescrittivi  verso la propria immagine, con dinamiche familiari molto richiedenti e poco calde, o soffocanti, o dai confini confusi. Inoltre è generativa della ripresa di un sano contatto umano: le esperienze ospedaliere forzate spesso mettono in crisi ogni successiva alleanza umana sul problema.

IL RAPPORTO CON IL CORPO HA BISOGNO DI ESPERIENZA SUL CORPO:
Sono molto importanti le esperienze di compendio alla psicoterapia (come la danzaterapia, il teatro, alcune attività sportive come l’equitazione, ) che mettano in discussione il sistema di parametri attraverso i quali la persona definisce il suo corpo. Spesso i riferimenti culturali e sociali prescrivono adeguamenti a modelli che relegano il corpo a funzioni varie, senza alcun altro riconoscimento.

LAVORO CON LO SPECCHIO
Uno specchio a due facce: in una faccia la possibilità di guardarsi oggettivamente, nell’altra soggettivamente.  Queste due facce hanno la funzione di consentire un approccio graduale al proprio riflesso e agli universi con cui questo fa connettere.

TEMPI: Sono abbastanza lunghi. A meno che non si tratti di una breve parentesi preventiva in cui i familiari cercano risposte e indicazioni con il figlio, nel caso ci sia la necessità di intraprendere un percorso su questo tema è necessario impegnarsi con un ritmo di una volta alla settimana (se si è in fase acuta due volte) per i primi 6 mesi, e poi di continuare per arrivare almeno all’anno e mezzo. La difficoltà iniziale di costruzione del rapporto di fiducia non ha paragone con quanto si sviluppa successivamente: nel tempo, anche le persone più schermate riescono a costruire uno spazio di autentica relazione.